Cosa Siamo? Cittadini, sudditi, bestie, selvaggi, alleati, tribù?

Sidi Bouzid: la rivolta dei laureati in tunisiaPrendo in prestito questa domanda da un recente post su GIAP – la stanza dei bottoni, mitico blog del collettivo Wu Ming, per introdurre una breve e personale meditazione su quanto sta accadendo in Europa e non solo: sulle manifestazioni, le rivolte, la rabbia che invade sempre più persone.

Da mesi ormai, a partire dalla Grecia e poi più su in Inghilterra e Francia, in Irlanda e Islanda, per arrivare all’Italia e – più recentemente ma non certo con meno furore! – all’Algeria ed alla Tunisia, strati popolari sempre più ampi si ribellano allo stato delle cose, alla crisi dei banchieri che noi tutti ci troviamo a pagare mentre lor signori usano gli aiuti pubblici per tornare a sguazzare nel fango torbido della speculazione internazionale in barba a qualsiasi diritto.

Rabbie e rivolte apparentemente differenti, ma tutte con almeno un tratto comune: i giovani e gli studenti in particolare, ne rappresentano il cuore e l’avanguardia e l’intelligenza non sta a guardare: ricercatori ed Università in Italia, laureati appoggiati da giornalisti ed avvocati in Tunisia, intellettuali in Francia e così via. A questi potremmo aggiungere l’Ungheria dove recenti moti si sono sollevati per combattere la legge liberticida che limita la possibilità di pensiero e parola mettendo il bavaglio agli organi di informazione: dai giornali fino ai blog.

Anche la risposta dell’estabilishment è ovunque la stessa: repressione e congiura del silenzio. Chiudere i giornali, piegare le voci critiche, far sparire il dissenso o criminalizzarlo; togliere diritti di parola e/o di rappresentanza: come sta accadendo in Italia nelle fabbriche della FIAT per la FIOM che, non avendo ceduto al ricatto del padrone – lavoro in cambio di diritti – non avrà diritto ad esistere.

Nulla di nuovo sotto il sole, se non il fatto che far tacere è molto più difficile ora, che i mezzi di comunicazione sono alla portata di tutti, piuttosto che qualche decennio fa. Ma la linea rimane sempre la stessa: ciò che dici non deve arrivare alle orecchie del popolo e, se non posso impedirlo, farò in modo che la tua voce divenga nel senso comune voce criminale.

Forse anche la strada da scegliere, per chi questa rabbia la voglia conservare ed usare per cambiare le cose, dovrebbe ricalcare, seppur in chiave nuova, strade già percorse. nel 1891 Carlo Marx e Friedrich Engels chiudevano il “Manifesto del Partito Comunista” con il celebre appello “proletari di tutto il mondo unitevi!“.

Certo molta acqua è passata sotto i ponti da allora: il mondo è cambiato e la divisione in classi sociali analizzata allora adesso non è più valida, o quantomeno è totalmente da rivedere, non fosse altro per il fatto che la prole (proletariato = coloro che hanno come unica ricchezza i propri figli) più che un vantaggio è diventata un lusso che pochi possono permettersi. Ma l’appello all’unità mantiene tutto il suo valore: unità di classe, unità di idee ed obiettivi, unità al di là ed al di sopra dei confini nazionali, etnici o religiosi.

Alla repressione si risponde mantenendo unito il fronte. Al razzismo ed a chi pretende di scatenare la guerra tra poveri e più poveri si risponde con l’internazionalizzazione. Chi si ribella in Algeria o in Tunisia lo fa anche per non essere costretto a fare l’immigrato – magari clandestino! – in Italia, Francia o Inghilterra.
Chi incendia la Grecia lo fa non perchè privato della possibilità di cullarsi in un costante aumento del debito pubblico, ma perchè chi su questo debito finora ha lucrato, adesso piange lacrime di coccodrillo scaricandone le conseguenze sui lavoratori ed, ancor più, sulle nuove generazioni.

Non c’è più tempo per la pazienza, non ci deve essere più spazio per le distinzioni: operai privati dei diritti o del lavoro, studenti privati del futuro, precari costretti ad una vita a rate, immigrati ricacciati nella clandestinità, laureati costretti a fare gli ambulanti, e privati anche del loro carrettino, ricercatori che, anzichè speranza per un futuro migliore, divengono manodopera a buon mercato o emigranti della conoscenza, cittadini e persone senza più speranze, con sempre meno diritti e senza voce.

Non conta la nazione, non l’etnia ne la religione: in comune non c’è più nulla da perdere e tutto da riprendersi.


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